La Collotipia: Una tecnica che muore

È stato possibile riprodurre meravigliose opere grazie ad una tecnica che, se non è ancora del tutto scomparsa, è di sicuro un’arte che muore. Rimpiazzata dalla più semplice ed economica litografia, la collotipia fu inventata da Alphonse-Louis Poitevin nel 1855, con le prime applicazioni per mano di F. Joiubert nel 1859. I miglioramenti più significativi invece  furono introdotti nel 1868 da Joseph Albert e Jakub Husnik.

Una breve storia della tecnica

Albert fece aderire al vetro smerigliato uno strato sottile di gelatina bicromatata, indurendola poi con l’esposizione alla luce (il termine “collotipo” deriva dalla parola greca “kola”, che significa “colla”). Questo processo di riproduzione tipografica è basato sulla proprietà del bicromato di potassio di alterare la solubilità in acqua di colloidi come albume, gelatina, gomma arabica, se esposti alla luce. Su questo strato se ne spalmava un altro della stessa sostanza, destinato a riprodurre l’immagine. Si usavano poi due tipi di inchiostrazione spessa per le ombre. Il metodo era anche chiamato Albertype o Albertipia, dal nome del suo inventore.

Oggi i collotipi sono preziosissimi perché non possono essere riutilizzati: le stampe sono in edizioni limitate e di altissima risoluzione, non c’è possibilità di falsificazione come in altri tipi di processi fotomeccanici.

Famosi fotografi hanno sperimentato la collotipia

É di sicuro un’arte che muore, tuttavia un numero esiguo di fotografi ha prediletto la collotipia come processo di riproduzione. Nel 1970 il fotografo Todd Walker addestrò ed istruì  una squadra di fotografi d’arte in grado di riprodurre le opere d’arte con questa tecnica e farlo per il National Endowment for the Arts (NEA).

Principali applicazioni della collotipia

La collotipia è impiegata per edizioni limitate a partire dai negativi, per la riproduzione di opere d’arte come disegni a matita o ad acquarello, la produzione di cartoline, cataloghi illustrati, display pubblicitari e poster. Le primissime cartoline in circolazione furono stampate usando questa tecnica.

Come riconoscere un collotipo?

Dei collotipi facilissimi da identificare sono per esempio quelle piccole cartoline colorate a mano e prodotte in larga scala che oggi chiamiamo “vintage”: cartoline in bianco nero e con qualche dettaglio colorato a mano.

Capiamo che ci troviamo difronte a un  collotipo quando vediamo il colore leggermente fuori dal margine dell’area colore.

Qualche famoso esempio di collotipia: Klimt e Schiele

  1. Gustav Klimt: Fünfundzwanzig Handzeichnungen”,

Il complesso processo di riproduzione della collotipia rende giustizia allo stile spontaneo e al tratto leggerissimo di Klimt. Stiamo parlando dei bellissimi collotipi raccolti nel portfolio “Gustav Klimt: Fünfundzwanzig Handzeichnungen”, una edizione limitata composta da 25 collotipi d’après dei disegni dell’artista viennese. Pubblicati dalla casa editrice viennese Gilhofer and Ranschburg, nel luglio 1919, un anno dopo la morte di Klimt, questi sofisticati collotipi riproducono alla perfezione il tratto a matita del grande maestro della Secessione e ci consegnano oggi la sua mano leggerissima, la sua tecnica e la sua irrefrenabile energia creativa.

Fu il Kunstanstalt Max Jaffé, ovvero il massimo esperto viennese di collotipia a riprodurre i disegni di Klimt. L’importanza di questo portfolio sta proprio nella capacità di catturare la varietà dello stile di Klimt tra gli anni 1898 and 1917. Una bellissima galleria di donne colte nella loro intimità e ritratte con un velo di sensualità ed erotismo: il Fünfundzwanzig Handzeichnungen era dunque “materiale erotico” che circolava privatamente nella Vienna dell’alta società ed era ben accettato dalla società del tempo.

Ancora oggi questa raccolta ci sorprende e ci fa guardare con gli occhi di Klimt quel variegato mondo femminile da scoprire. Lui osservava meticolosamente donne nubili, ragazze acerbe, che donne mature e anziane.

2– Handzeichnungen di Egon Schiele

Un altro portfolio di collotipi degno di nota è il Handzeichnungen di Egon Schiele, d’après dei disegni ad acquerello o a carboncino del maestro viennese. Pubblicata dalla casa editrice Verlag Eduard Strache, (Vienna, Praga, Leipzig) nel 1920, la collezione fu realizzata, come per la raccolta di Klimt, da Max Jaffe e prodotto dalla stamperia viennese Gesellschaft fur Graphische VI.  Quattro tavole della collezione sono a colori e stupiscono per la brillantezza.

Attraverso questi due esempi capiamo come la collotipia dimostra di essere la tecnica con la quale è stato possibile far conoscere i due artisti, diffondere e far circolare la loro incredibile produzione e consegnarla ai posteri, far circolare anche del materiale erotico nella Vienna di inizio Novecento.

Vi consigliamo ora di guardare ed ammirare i collotipi, i vividi colori, la delicatezza del tratto di Klimt o l’irruenza del segno di Schiele e di conoscere nel dettaglio i due grandi maestri viennesi.

 

Elena Agnese Sorrentino

 

Egon Schiele, Weiblicher Rückenakt

 

Gustave Klimt, Ritratto di ragazza – Tavola n. 6