Marinetti Caffeina d’Europa

Se Marinetti fosse nato in Italia non sarebbe stato Marinetti. Nacque infatti ad Alessandria d’Egitto nel 1876, la sua prima lingua era il francese, e fu intimo amico di Kavafis. Da sempre respirò aria internazionale. C’era chi lo guardava come “un cretino con qualche lampo di imbecillità [1]  o chi subiva il suo carisma e lo seguiva in tutte le sue avventure. Di sicuro era un dandy, dallo sguardo vispo, e dalla vita “tumultuosa, stramba, colorata”, dall’eloquio forbito e coinvolgente, così come è ritratto da Cangiullo XXX.  Un vero leader, capace di adunare introno a sé adepti fedeli come i giovani artisti che trovò a Milano e che giudicò dotati di “temperamento futurista”: prima Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, poi il più anziano Giacomo Balla, il maestro dello stile divisionista, e Gino Severini. Da Milano però sposta l’epique nella capitale dell’arte, a Parigi, ove Marinetti fa conoscere le sue nuove leve a Alexandre Mercereau, un intellettuale, raffinato editore e direttore del Caffè Camèleon di Montmartre, che ospiterà le prime provocatorie serate futuriste, davanti allo sguardo di simbolisti francesi e cubisti.

Ad un cronista russo Marinetti rivelò come era nata l’idea Futurismo in una sera dell’ottobre del 1908, quando stava scorazzando per le strade di Milano a bordo della sua Fiat. “Stavamo passando un’allegra serata nel nostro caffè notturno preferito, frequentato da donne elegantissime. Era già notte fonda quando alla compagnia venne l’idea di rinfrescarsi con un giro in automobile per la città.(… )Iniziammo a correre per le vie sprofondate nel sonno. (…) L’automobile non camminava: volava. Intorno regnava la tenebra. Ed ecco che a un giro infelice del volante, a una manovra malriuscita, l’automobile plana in un fosso. Voliamo nell’abisso (…). Al momento della caduta è balenata l’idea del futurismo”.

Era istrionico, un galvanizzatore ma effettivamente fu il primo e il maggiore interprete dei rapidissimi cambiamenti di inizio novecento: in una manciata di anni fu inventata la radiografia, il cinema, il treno, la macchina, la radio, il tram, e le città divennero dei mechanical paradise. Sempre entusiasta del progresso e della modernità, attaccava la storia, il passato, la tradizione in ogni sua forma, attaccava la neutralità, inneggiava in senso astratto ed idealista alla guerra. “Le nostre battaglie e le nostre vittorie si moltiplicano. Abbiamo dei nuovi alleati, delle nuove forze e i nostri nemici sono in malattia”.  Era una guerra anche convincere e convertire i passatisti, i tradizionali, e gli accademici all’unica arte possibile, quella al passo con i tempi l’arte futurista. Il benestare gli venne da  Mercereau, grazie al quale riuscii ad organizzare le prime esposizioni di arte futurista, le serate futuriste, in Francia, ma anche all’estero.

Neanche Marinetti si rese conto della portata rivoluzionaria del movimento che andava a creare, ma sin da subito capisce che è importante stabilire come deve essere la sua nuova poesia, pittura, scultura, letteratura, musica, redigendo manifesti che dovevano avere la massima diffusione. Così fa pubblicare su molti dei suoi giornali una lunga carrellata di manifesti, di cui il primo, il Manifesto futurista, indica undici punti della nuova estetica. Il contributo apriva il cinquantunesimo numero della rivista francese “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. E la sua collocazione in prima pagina, nelle prime due colonne subito dopo l’elenco degli articoli principali, appena sotto la testata, ne sottolineava l’importanza. Quasi in contemporanea alla pubblicazione parigina, la rivista milanese “Poesia” dava alle stampe l’estratto degli undici punti cardine, firmati da Boccioni, Russolo, Balla, Carrà, Severini.  Si chiudeva così: “É dall’Italia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria”. Queste parole furono profetiche e Marinetti da quel giorno iniziò a costruirsi una fama internazionale.

Come un perfetto cronista del tempo, tiene sempre al corrente il suo “Confratello” Mercereau circa l’“attività violenta e infaticabile del Movimento futurista”, che si accompagnava sempre alla campagna interventista (vere e proprie manifestazioni violente a Roma e Milano, più di 100 conferenze, manifestazioni, marce contro i neutralisti) che voleva “spingere il governo italiano alla guerra contro l’Austria”. Circostanze in cui, Marinetti viene arrestato due volte: di cui la seconda finisce a San Vittore con Mussolini ed altri, come riferisce nella lettera dell’8 marzo 1915. “Noi siamo gli unici in Italia ad aver subito questo trattamento, questo prova la violenza del nostro movimento”.

Il futurismo ha effettivamente ottenuto una risonanza inaspettata. Il paese che più fu sensibile e recettivo fu la Russia (anche qui ricompare la figura di Alexandre Mercereau, che, in qualità di Presidente della Grande Società delle Conferenze, organizzava spesso mostre e conferenze e lo porta in Russia.). Poco dopo infatti intellettuali russi, sotto le sue vigorose esortazioni, sosterranno che “nella palude del presente divampa con fiamme intense, forse anche insane e pericolose, il Futuro”.[2]

Neanche il Belgio fu estraneo all’attrazione del futurismo, come testimoniano le parole del cronista belga Ray Nyst in “La Pittura futurista nel Belgio” su “La Belgique artistique et littéraire”, annotando le sue prime impressioni dopo una conferenza di Marinetti: “Questa serata resterà indimenticabile, (…)il Futurismo apre orizzonti troppo interamente nuovi e troppo completamente originali perché se ne possa scorrere senza una intuizione assai più lunga ancora”.

Questi meravigliosi anni sono stati ricostruiti a partire dall’inedita corrispondenza futurista

 

 

Bibliografia:

  1. Contini, Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Sansoni Ed., Firenze, pag. 667-668.

[1] Gabriele d’Annunzio

[2] Ivi, pag.14.