La danza della pittura

La fine di un idolo

È l’11 agosto 1956 e un improvviso incidente stradale si consuma a pochi isolati da Springs, a Long Island. Fu così che, all’età di 44 anni, dopo aver combattuto con l’alcool per tutta la vita, morì Jackson Pollock che in quel momento guidava la sua Oldsmobile in stato di ebbrezza. Con lui c’erano anche due donne, la sua amante Edith Metzger, che morì anch’essa nell’incidente e Ruth Kligman, amica intima dell’artista e della sua amante, gravemente ferita. In quella mattina americana perse la vita uno dei più grandi artisti del XX secolo, un uomo dall’esistenza fragile e tormentata. Da quel momento in poi, la figura di Pollock sarà destinata a diventare iconica: un artista che ha stravolto il concetto stesso di pittura e di quadro, di cavalletto e di ritmo, rivoluzionando per sempre il corso della storia dell’arte.

The Irascibles

Jackson era nato nel gennaio 1912 a Cody, nello stato del Wyoming; primo di cinque figli, a 18 anni si trasferì con il fratello a New York dove seguì Thomas Hart Benton alla Arts Student League. Entrò in contatto con gli artisti che in quel periodo animavano la scena americana: erano giovani artisti che presto avrebbero rivoluzionato l’arte e la figurazione; essi erano gli “irascibili”, gli esclusi dalla mostra organizzata nel maggio del 1950 dal Metropolitan Museum che inviarono una lettera di protesta al direttore e al curatore del Museo che fu subito pubblicata sul New York Times. Le reazioni alla protesta furono diverse e contrastanti, ma la definizione di “irascibili” coniata dall’Herald Tribune e poi ripresa da Life fu quella utilizzata per definire il gruppo da quel momento in poi. Essi erano Willem de Kooning, Clifford Still, Robert Motherwell, Adolph Gottlieb, Franz Kline, Mark Rothko, lo stesso Pollock e altri, tutti nati e cresciuti negli USA ma da genitori provenienti da paesi diversi. Una grande retrospettiva sugli artisti della scuola di New York è visitabile fino al 24 febbraio 2019 nell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano, a Roma. La mostra intende ricordare l’aspetto anticonformistico del gruppo degli Irascibili attraverso un percorso di 50 capolavori dell’Espressionismo Astratto.

Il rapporto con Peggy Guggenheim

Un forte legame con l’Europa, dunque, accomunava gli artisti della Scuola di New York, rapporto consolidato dalla figura di Peggy Guggenheim, che presto divenne protettrice e mecenate del gruppo. Durante gli anni Quaranta, Peggy Guggenheim fugge da un’Europa dilaniata dalla guerra e fonda la sua galleria/museo a New York “Art of This Century”. Gli spazi della galleria ospitarono presto le opere realizzate dagli artisti della Scuola di New York; nonostante gli eccessi e le sregolatezze dell’artista, Pollock sarà il prediletto della mecenate: nel 1943 la Guggenheim ospiterà nella sua galleria la prima personale dell’artista e, successivamente, gli offrirà un contratto che gli permetterà di dedicarsi solo all’arte e alla sperimentazione fino al 1947.

Long Island

Nel frattempo, l’artista conobbe quella che sarebbe diventata una donna fondamentale della sua esistenza: Lee Krasner. Lee, figlia di emigrati russi di origine ebrea, è destinata a diventare una figura inscindibile. Artista, moglie, compagna di vita e manager di Pollock, Lee fu spesso fonte di ispirazione e ancora di salvezza per Jackson, che da sempre condusse una vita sregolata all’insegna degli eccessi e dell’abuso di alcool. Un mese dopo il matrimonio, grazie alle somme elargite dalla Guggenheim, andarono a vivere a Long Island dove Pollock perfezionò e portò a compimento quella che sarebbe diventata la tecnica inconfondibile delle sue opere più rappresentative: il dripping. Nella tranquillità di Springs, Long Island, dove aveva adibito una stalla a studio, Pollock realizzò quelle che sarebbero diventate le opere cardine della sua poetica. Le tele di dimensioni monumentali, ispirate ai murales messicani dalla forte ispirazione politica e sociale, erano stese sul terreno e “dipinte” con la tecnica dello sgocciolamento: per la prima volta in assoluto, un artista contemporaneo utilizza un medium orizzontale per dipingere, non più il cavalletto o la superficie muraria, ma un supporto steso su un piano, che accoglie la rappresentazione. Il colore, fluido e diluito, viene letteralmente lanciato sulla tela e il pennello, sostituito da uno stecco di legno, non entra mai in contatto con la superficie. L’immagine finale, puramente astratta, diventa il mezzo per rappresentare il gesto e il segno. Il dipingere diventa quasi una danza, riesumata dalla tradizione ritualistica dei nativi americani, con cui Pollock era entrato in contatto da bambino. Dagli anni Cinquanta in poi, le tele di Pollock saranno ospitate nelle maggiori esposizioni internazionali; progressivamente i colori lasceranno spazio alla semplice bicromia bianco/nero.