Goya: il più coraggioso codardo dell’arte

Ci sono artisti che vengono ricordati perché hanno realizzato opere d’arte belle e artisti che hanno cambiato il corso della storia dell’arte. Possiamo sentirli ancora oggi perché ci parlano con un’urgenza che travalica lo spazio temporale. Parlano della natura umana, quella più intima e mostruosa, senza filtri né mediazioni, né imbellettamenti. Nessuno come Goya ha saputo raccontare allo stesso tempo tragedia e ironia, sarcasmo e tenerezza, grottesco e patetico, eroismo e crudeltà, cose vere e fantasmatiche, con un pennello che ha la forza di un macete e l’acutezza di un bisturi. Dopo di lui tutti gli artisti hanno dovuto fare i conti con l’eredità che ci aveva lasciato. I suoi corpi smembrati nei Disastri della Guerra hanno ispirato direttamente Géricault, Manet lo ha imitato indefessamente, Dalí lo ha invocato quasi in preghiera come fosse un Dio ispiratore, Picasso ne è stato attratto costantemente.

 

Destinato a diventare uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, Goya ha lasciato un segno indelebile anche in Charles Baudelaire che nei suoi Scritti sull’arte disse: “In Spagna, un uomo singolare ha aperto al comico nuovi orizzonti. per l’esattezza non vi è nulla in Goya di speciale o di particolare (..) è certo che spesso egli affonda nel comico feroce e s’innalza fino al comico assoluto. Goya è sempre un artista grande e spesso spaventoso… nessuno più di lui ha osato nel senso dell’assurdo possibile”. Le sue immagini hanno una forza struggente, come si può dimenticare Saturno che dilania il corpo di suo figlio?

 

Fu allo stesso tempo il “Pintor de Camara” -ovvero il  pittore ufficiale, di corte, con la carica istituzionale di ritrarre la famiglia reale spagnola e realizzare i cartoni per gli arazzi del palazzo reale, (premiato da Carlo IV nel 1789) – e il più acuto critico della politica spagnola, come è stato ritratto nel film “L’ultimo inquisitore” di Milas Forman. Chi è dunque Francisco Goya? Fu un uomo molto attento a non inimicarsi nessuno, ad essere in buoni rapporti con tutti. Ma nella sua opera, egli fu tanto audace e oltraggioso quanto qualsiasi altro artista. Nessuno vide I Disastri della Guerra fino a circa 30 anni dopo la sua morte, e i suoi famosi Dipinti Neri, per i quali tutti oggi perdiamo la testa, i primi veri quadri moderni, non furono concepiti per avere una visione pubblica. Per questo motivo c’è chi lo definisce “il più coraggioso codardo nell’arte”.

Con le sue meravigliose e terribili acqueforti, acquetinte e poi le litografie la sua fama inizia a valicare i confini spagnoli: il primo album dei Capricci arriva in Francia grazie al barone Vivant Denon nel 1809, trenta anni prima dell’apertura della galleria dei pittori spagnoli al Louvre.  Lo stretto legame dello spagnolo con gli intellettuali illuministi del tempo e la misteriosa malattia che lo renderà sordo e profondamente meditativo, misantropo ed introverso forse furono i due fattori che gli “aprirono gli occhi” sulla decadenza della monarchia spagnola come dell’animo umano.  Los Caprichos sono una raccolta di 80 incisioni in cui Goya si crea uno spazio intimo, segreto, nel quale la fantasia può finalmente scatenarsi e non ha più limiti “di decenza”. E descrive all’uomo in totale libertà ogni aspetto del suo animo, debole, preda degli istinti, basso, sciocco, visionario e superficiale, ritraendo le bruttezze, i vizi, i dolori, le gioie, le perversioni, le meschinità e le follie.

Cosa ci fa una scimmia di fronte ad una tela? Perché dipinge un asino? E la intitola “Ni mas ni menos?”. Vuole forse dirci che solo una bestia può raffigurare intimamente un’altra bestia? Il pittore è dunque una scimmia? Oppure, in un altro suo capriccio “No te escaparas?”, perchè una danzatrice è inseguita da un angosciante stormo di uccelli malvagi, come in un film di Hitchcock? Da cosa non scapperà? Si tratta di una sorta di vanitas moderna in cui la danzatrice incarna una giovinezza destinata inevitabilmente ad esaurirsi? Los Caprichos rimangono una sorta di giallo o di rebus dell’arte da risolvere come il sorriso della Gioconda. Il Mistero si infittisce con la serie dei Disparates, (termine traducibile vagamente con assurdità, stranezze, spropositi, follie), una raccolta enigmatica di grafiche rimasta incompiuta e che vedrà la luce solo alla metà del secolo XIX. Questa suite dall’artista è una sorta di macchina ermeneutica, produttrice di significati e di svariate interpretazioni, creata dall’artista ormai anziano, molto provato dalla vita, durante gli anni della restaurazione di Ferdinando VII, in cui rimedita sulle stesse atrocità proprie delle incisioni relative alla guerra, ma fa un passo in più: aggiunge un tratto carnascialesco e di carica satirica lugubre. Con quale ghigno atroce avanza l’enorme personaggio accompagnato da mostri e da un suono di nacchere nella “Follia della stupidità” (Disparates 4)? Il sonno della ragione ha creato dei mostri, che non sono però fantasmi o incubi ma sembrano ritrarre il mondo che ha ormai perso ogni senso, ogni ordine, ogni possibile armonia. Mai come in questa serie Goya domina con sguardo ferocemente critico la realtà circostante e allo stesso tempo cede le redini della ratio illuminista per abbandonarsi al mondo fantasmatico, angosciante ed allucinato.

E’ possibile ammirare una rara edizione dei Los Proverbios o dei Los Disparates (nella sezione Old Masters) e provare in prima persona il doppio sguardo di Goya sulle “mostruosità verosimili” che hanno ammaliato generazioni e generazioni come il canto delle sirene.